GIONA
di Gregorio Curto

Viveva in Giudea un Giona profeta 
che credo ignorasse i vestiti di seta, 
l'immagino invece con braccia robuste 
avvezzo a occupare le grotte più anguste. 
Amando di certo preghiera e riposo 
gradiva per cibo un frutto carnoso
e spesso lavandosi in acqua corrente 
tenevasi lindo e fresco di mente. 
Benché fosse giovane agile e arzillo 
bramava soltanto restare tranquillo
ma un giorno il Signore lo chiama in azione 
volendo affidargli una certa missione.
"Va' subito a Ninive grande città 
dicendo che Dio è amore e bontà, 
la colpa più grave perdona di cuore 
purché si converta il crudel peccatore. 
Ma a chi vuole proprio andare in rovina 
non basta nemmeno la grazia divina:
se Ninive tarda la sua conversione 
in sei settimane andrà in perdizione". 
Amando il profeta il vivere in pace 
il compito avuto per nulla gli piace, 
si adopera quindi a volerlo scansare 
fuggendo lontano su un placido mare. 
Trovata una nave in partenza da Giaffa 
portandosi dietro bisaccia e caraffa 
s'imbarca e si pone in un luogo nascosto 
volendo celarsi al buon Dio ad ogni costo.
Poi beve del vino e mangia del tonno
e cade di colpo in un placido sonno
ma sopra i gabbiani dall'ali leggere
frattanto s'addensano nuvole nere.
I mozzi allora che hanno buon fiuto
risvegliano Giona chiedendogli aiuto:
"Ascoltaci, amico, solleva la testa
che stiam per morire nel mare in tempesta".
Pioveva a dirotto, soffiava il grecale,
il mare agitato faceva star male
e l'albero a prora troncato di netto
avea della nave mutato l'aspetto.
Allor disse Giona rivolto al nocchiero:
"Ti devo parlare da uomo sincero:
se l'acque in tempesta volete placare
prendetemi tosto e gettatemi in mare!".
II volto dei mozzi ritorna sereno
ché presto compare un bell'arcobaleno
e pure la cosa gradita riesce
a Giona ingoiato da un docile pesce.
Dal ventre del pesce commossa, sincera
innalza il profeta un'ardente preghiera,
sa bene che sconta la sua punizione
perché ha rifiutato la dura missione.
"O grande Signor, reggitore del mondo,
ti giunga il mio grido dal mare profondo;
dicevo tra me 'questa volta è finita'
ma tu mi hai voluto salvare la vita".
Ed ecco che il pesce - ma è Iddio che può tutto
rigetta il profeta di nuovo all'asciutto
e mentre un bel sole le isole irraggia
ritrovasi Giona ancor sulla spiaggia.
In seguito Giona scampato dal mare
di nuovo da Dio si sente chiamare:
"Va' a Ninive a dire che ognun si converta
oppur la città sarà resa deserta!".
Stavolta il profeta ascolta e si alza
a Ninive giunge e il popolo incalza:
"Se Ninive tarda la sua conversione
in sei settimane andrà in perdizione".
Ascolta e si desta il popolo fiacco,
non prende più cibo, si veste di sacco
e Iddio ch'è pietoso perdona ad ognuno
vedendo di Ninive il grande digiuno.
Ma accade che Giona ne ha dispiacere
le leggi divine vorrebbe più austere,
di Dio la clemenza gli torna sgradita
al punto da chieder di farla finita.
Cercando riparo da un sole cocente
all'ombra di un ricino siede dolente
ma il ricino secca e subito muore
e Giona contesta di nuovo il Signore.
Iddio dice "Un ricino pena ti dà,
non devo io degli uomini avere pietà?".
Allor pensa Giona: "Che sciocco che sono
perché rifiutavo il divino perdono!".