Paura al cimitero

di Roberto Piumini

La faccenda era cominciata una sera prima.
«Che cosa c'è di notte nei cimiteri, Tommy?» mi aveva chiesto la mia piccola sorella.
«Quello che c'è di giorno, Bess».
«Cioè le tombe, le croci...».
«Certo. E forse qualche coniglio selvatico».
Il cimitero di Courtplace era a mezzo miglio fuori dal villaggio, sul p crinale allungato di una collinetta, ad Ovest. Non era altro che un terreno mal recintato, con un cancelletto di legno che, anche chiuso, non avrebbe impedito a nessuno di entrare. All'interno, un po' più alte e fitte che altrove, crescevano erbe spinose. Le croci delle tombe, inclinate in ogni direzione, sembravano alberi maestri di una flotta naufragata in una tempesta polare, ghiacciata per l'eternità. Più che un posto triste o spaventoso, il camposanto di Courtplace era un postaccio.
«Ci sono gli spiriti, nel cimitero, Tom?» aveva chiesto Bess il giorno dopo.
«No, Bessy, non ci sono».
«Nemmeno quelli buoni?».
«Né al cimitero, né in altri posti».
«Come fai a dirlo?».
«Lo dico perché sono ragionevole».
«Al, e Florence, e la signorina Claridge, e anche Cindy Fraser, dicono che gli spiriti ci sono. La signorina Claridge li ha visti». 
«Frottole. Non li ha visti: nessuno li ha visti. Sono storie di fifoni, per i fifoni; storie di quelli che vogliono spaventare i fifoni. Nessuno va a vedere spiriti al camposanto, ma c'è sempre qualcuno che dice che ci sono, o che qualcun altro li ha visti».
«Tu sei mai andato a vedere se non ci sono, Tom?».
«Che idea! Se ti dicono che in fondo al mare ci sono asini rossi con la testa di fata, tu vai a vedere?».
«Se potessi sì. Mi piacerebbe almeno vedere il mare... però in fondo al mare non si può andarci, ma al cimitero sì».
«Insomma, Bessy: ti dico che non ci sono. Il cimitero di notte, è soltanto un brutto posto, triste e deserto, e...».
«Sai, Tom, io a questa faccenda degli spiriti, mica ci credo, però non del tutto... Se lo dicesse solo Cindy Fraser, che ci sono gli i spiriti, non ci crederei per niente, perché quella è un'oca: ma lo dicono anche Al e sua sorella, che sono tipi ragionevoli come te, e anche dei grandi, come la signora Claridge, che fa dei biscotti così buoni, che mi sembra impossibile che sia pazza...».
«Ma il reverendo Preston, che pur senza biscotti è la persona più saggia che conosciamo, dice che gli spiriti non ci sono, Bess. Le persone intelligenti dicono che non ci sono: questo è un segno».
«Sì, però la signora Claridge li ha visti. Insomma Tommy, finché io non posso vedere che non ci sono davvero, ci crederò sempre un pochino».
«Cioè sarai un pochino sciocca, Bessy?».
«Perché non andiamo a vedere che non ci sono, Tom?».
Io risposi qualcosa, sperando che dimenticasse quell'idea: ma alcuni giorni dopo eravamo al villaggio con papà, dato che questo accadeva quattro anni fa. Lui stava ad una riunione degli agricoltori, nel magazzino di Sam, perché dovevano discutere di leggi e di terreni. Io e Bess avevamo chiesto di andare con lui, e anche mamma era venuta a passare un paio di ore con Francis Delaney, una vecchia amica, chiacchierando e ricamando tovaglie bianche.
 Finiva il tramonto, e io e Bess eravamo sulla strada, a giocare. Quando fu buio, lei disse: «Andiamo al cimitero Tommy? In venti minuti ci arriviamo».
«Mamma non vuole» io risposi.
«Mica glielo diciamo. Prima di un'ora e mezza, non si ricorda di noi: ci vuole almeno un'ora e mezza perché lei e la signora Delaney finiscano di scambiarsi informazioni. E papà non uscirà dal magazzino prima delle undici... Se andiamo svelti torniamo in meno di un'ora. Venti minuti andare, venti tornare, più un'occhiatina. Mamma mica ci ha detto di non allontanarci...».
Sentii la sfida, e l'accettai. Dopotutto, la strada per il cimitero era abbastanza lunga perché Bess cambiasse idea. Mi prese per mano, come per farsi guidare.
«Sai, Tommy... Ho chiesto di nuovo ad Al» quasi bisbigliò camminando. «Dice che esistono senz'altro: ma non è detto che si facciano vedere da tutti. Pare che, se uno non ci crede veramente, come te, non si fanno vedere per ripicca».
La cosa mi faceva piacere, ma non del tutto.
«Bella scusa» dissi masticando una paglia dolciastra che avevo raccolto lungo la strada. «E così gli spiriti si fanno vedere solo da quelli che ci credono, eh?».
«Così tu non li vedrai, e io semmai solo un pochino».

La sua mano piccola stringeva la mia. Eravamo già oltre le ultime case di Courtplace, e un vento fresco veniva giù dalla collina, proprio dalla direzione del cimitero. Comunque c'era la luna. Proseguivamo in silenzio. Bess aveva un passo deciso. Ad un centinaio di metri dal cimitero sentimmo un grido sospeso nell'aria, a sinistra.
«Cos'è, Tom?».
«Una civetta, Bessy; come quella che sta sull'albero dietro casa Non la senti mai di notte?».
«Però quella ha un suono diverso».
«Come la gente che canta in chiesa... mica tutti hanno la stessa voce, Bessy. Ma ci vuoi ancora andare là dentro? Magari è proibito. Io credo che il reverendo Preston non approverebbe le visite segrete al cimitero».
«Ma che male c'è, Tom? E poi, mica ci vede».
Ci avvicinammo, rallentando solo un poco. Il cancelletto di legno, scardinato e storto, ci apparve alla luce della luna.
«Ma gli spiriti, se ci sono, come sono?» disse Bess.
«Non ci sono, e basta» risposi, irritato.
«Ma se ci fossero, come sarebbero?».
«Chiedilo ad Al, o a Cindy, o alla vecchia Claridge: sono loro i grandi esperti di spiriti. La signora Claridge li ha visti, no? Non ti ha detto come sono?».
«No, dice solo: - Oh, sì, sì, misericordia: li ho visti! - e mette le mani davanti alla bocca, come se fosse maleducato parlarne».
Ci fermammo a tre metri dal cancelletto, in silenzio. Io sentivo la mano di Bessy che scottava.
«Pensi che farebbero un certo rumore di respiro, Tom?».
«Non lo so, perché?».
«Perché io sento un rumore così».
Mossi la testa incredulo, e sentii un respiro lungo e roco venire dall'interno del cimitero.
«Sarà un gatto» dissi, e riempii d'aria il petto, come per prepararmi a soffiare via tutti i gatti e i cimiteri del mondo.
«Andiamo, Tom?».
«Dove?».
«Dentro».
«Se è una gatta coi piccoli, può graffiare».
«Non ho paura dei gatti, Tom».
«Certo Bess. Nemmeno io». Spinsi il cancelletto di legno, che tremava. Il soffio continuò.
«Se era un gatto, ci sentiva» disse Bess. «Allora gli spiriti dormono e russano: questo Al non lo sapeva».
La guardai. Era pallidissima, nella luce della luna.
Poi soffiò: «Possiamo andare, Tom. Non voglio più vederli: mi basta sapere che dormono».
«Bess, se andiamo via, tu ci crederai per sempre» dissi io, sempre con il cancelletto tremante nella mano.
«Non so, magari non ci credo, Tom. Andiamo dalla mamma».
Respirai a fondo un'altra volta: passai la lingua sulle labbra.
«Aspetta qui, Bessy: vado io».
Lasciai la sua piccola mano; e mi sembrò di lasciare il mondo. Con quattro passi violenti andai verso il punto da dove veniva il rumore. C'era una bassa tettoia sgangherata: l'unica costruzione del cimitero. Lì sotto qualcuno russava e fischiava: troppo forte per essere un gatto di dimensioni regolari. Sentivo i capelli tirare tutti insieme sulla testa, come quando mamma, a casa, me li passava con la spazzola, una volta alla settimana, prima di andare in chiesa.
«Tommy!» sentii sussurrare al cancello «Vieni fuori per favore!».
Comunque, c'era la luna. Feci un passo avanti, e guardai. Poi tornai indietro con calma, respirando. Arrivai al cancello. Bess era ancora là, piccola come mai mi era sembrata.
«E' Cliff Perkins, Bess» io dissi. «È là che dorme, ubriaco».
«Cliff Perkins?».
«Vuoi vederlo?».
«No, ti credo, Tom».
«Dammi la mano: non si sveglia, sta sicura».
La accompagnai, nella luce di luna, a guardare la scarpe fangose, e la bottiglia di acquavite vuota, e la forma sguaiata del corpo, e a sentirne l'odore violento. Poi, in silenzio, uscimmo dal camposanto e ci incamminammo verso il villaggio. Bess andava accanto a me, e mi stringeva la mano.
«Sei parecchio coraggioso, tu» disse, voltandosi a guardarmi.
«Che ci vuole, Bessy».
Lei staccò la mano e allungò il passo. «Sbrigati» disse.
«Vai avanti, se vuoi» dissi.
«Io vengo piano. Si vedono le luci ormai».
«Ma perché non vuoi correre, Tom?».
«Mi sono fatto un po' male al piede, là dentro, su una tomba...».
«Ti fa molto male?».
«No, poco».
Lei si voltò a guardare le case.
«Beh, ti aspetto giù davanti al fabbro» disse, e corse via sotto la luna.
Io ero felice, respiravo, scendevo lento. Si cammina male con i calzoni bagnati.